Autore: antonio-calafati

Gradite (e incomprese) eredità

Andare al Governo significa ereditare un sistema di norme formali e norme informali. Le prime introdotte dall’azione dei governi precedenti, le seconde generate dall’evoluzione sociale. Sono le ‘condizioni iniziali’, dalle quali prende le mosse ogni nuovo governo, ogni transizione, ogni viaggio. C’è sempre un qui-ora all’origine di un progetto politico. E chi vince le elezioni e va al Governo si propone di cambiare qualcosa di ciò che ha ereditato: di cambiare le norme formali che meno corrispondono alla sua visione, ma anche di orientare l’evoluzione culturale nella direzione che corrisponde ai suoi valori.

La Destra ora al governo in Italia ha ereditato l’ordinamento del mercato del lavoro e del sistema sanitario nazionale, ha ereditato l’ordinamento organizzativo dell’istruzione superiore e dell’università. Ha anche ereditato l’ordinamento giuridico-istituzionale che regola lo sviluppo spaziale delle città e del territorio e quello che regola il sistema finanziario (e bancario); ha ereditato anche l’ordinamento del sistema pensionistico – e molto, molto altro.  Ha ereditato il capitalismo come plasmato in molte delle sue fondamentali sfere dalle politiche della Sinistra italiana, attuate dal 2011 al 2022.  E in nessuna di queste sfere – che sono sfere fondamentali per definire il modello di capitalismo – la Destra propone ora dei cambiamenti.

Un’eredità gradita e solo felice di doverla ora solo manutenere quella che la Destra ha ricevuto dalla Sinistra. E capisci, se hai voglia di capire, che cosa è diventata la Sinistra italiana dopo la sua metamorfosi iniziata nel 1989. Che cosa è diventata – e non che cosa era diventata – perché la Sinistra di oggi è identica alla Sinistra di ieri, sconfitta alle elezioni del settembre 2022: stesso programma, stesso sentimento.

La Destra non ha però capito che quello che ha ereditato dalla Sinistra è un sistema fallimentare: se quel sistema non avesse fallito non sarebbe ora al Governo. Ma non lo capirà, perché la sua relazione con il capitalismo è idelogica, non politica. Come lo è stata ed è quella della Sinistra italiana anche dopo il 1989.

(Per emendare il capitalismo italiano dai suoi difetti la Destra sembra ora credere che basti l’introduzione della ‘flat tax’ – e progetta di farlo. E non ti lascia scelta tra il riso o il pianto.)

 

 

Gridi di guerra

 

Ma occorre un atto di volontà per andare in cerca della sofferenza altrui.

— Susan Sontag, On Photography (1971)

 

Il Presidente del Consiglio – Giorgia Meloni – si libera della questione del ‘salario minimo’ affermando che la sua introduzione “non la convince”. Certo, avrebbe dovuto dire perché “non la convince”, ma non serviva. La Sinistra moderata e radicale non ha chiarito perché lo vuole introdurre: non ha esplicitato – e apertamente valutato – la configurazione di effetti che comporterebbe sul benessere dei salariati e sull’organizzazione delle imprese. E lei non ha bisogno di contro-argomentare. L’élite intellettuale e politica della Sinistra non l’ha messa di fronte a delle ragioni per farlo, costringendola a discuterle. Rituali gridi di guerra, nessun pensiero.

Dalla metà degli anni Novanta fino al Jobs Act la Sinistra italiana ha pazientemente e con coerenza decostruito il mercato del lavoro. Modificando i suoi fondamenti giuridici ha re-introdotto una drammatica asimmetria di potere nella negoziazione tra chi offre e chi domanda lavoro. Ed ha reso possibile che il lavoro potesse essere negoziato ‘ad ore’. Naturalmente, ha modificato solo una parte del mercato del lavoro, quello ‘degli altri’. Ma di questo ho già parlato in un precedente post.

Il ‘salario orario minimo’ non riduce la precarietà radicale delle relazioni di lavoro, il carattere più spietato del mercato del lavoro competitivo, organizzato come teorizzato dall’élite intellettuale e realizzato dall’élite politica della Sinistra in Italia. (Mentre lavori non sai se lavorerai e quanto lavorerai domani: devi almeno provare ad immaginare come ci sente, anche se in quella condizione non sei mai stato.) Il ‘salario orario minimo non riduce neanche se non in misura irrilevante la possibilità che il lavoro che una persona riesce a ‘vendere’ assicuri un salario ‘di sussistenza’, a sé stesso o alla sua famiglia. Non cambia in nulla le condizioni di indigenza e disagio economico nelle quali si trovano in Italia alcuni milioni di persone.

La Sinistra in Italia, qui-ora, dovrebbe rinunciare all’ipocrita proposta del salario orario minimo, e prendersi il tempo per farci capire se e come intende ri-organizzare il mercato del lavoro italiano quando andrà al governo. Come pensa di rendere il suo funzionamento coerente con i principi costitutivi della democrazia. Ma non lo farà. Si è dimenticata che è nata ancorando la sua azione a uno ‘sguardo etico’ sul capitalismo – uno sguardo liberato dalla retorica mercatista, che vede equilibri dove c’è solo sofferenza. La sofferenza altrui, naturalmente.

Le barricate

Le ‘barricate’ si fanno per difendersi, per difendere uno spazio fisico o metafisico, una costituzione, un sistema di norme formali, per difendere delle idee. Per difendere qualcosa che c’è.

Il salario orario minimo in Italia non c’è, e mi sfugge che cosa può significare affermare che sul quel tema il Partito democratico “farà le barricate”. Il Partito democratico è stato costantemente al governo dal 2011 al 2022 – tranne una breve parentesi (Governo Conte I ) – è mi sfugge anche perché il salario minimo non lo abbia introdotto in tutti questi anni. Naturalmente, ora ha cambiato idea. Ma perché l’ha cambiata? Che cosa vede ora di socialmente benefico che prima non vedeva in un vincolo normativo sulla contrattazione di mercato del valore orario del lavoro?

La discussione sul salario orario minimo che l’élite intellettuale e politica della Sinistra italiana sta conducendo la trovo penosa. L’unica cosa che conta nella vita delle famiglie è avere un reddito da lavoro che assicuri il raggiungimento dei minimi esistenziali e che non vi sia un solo giorno di incertezza sul non raggiungerli. Il lavoro non si può contrattare ‘a ore’, perché la vita non si organizza ‘a ore’.

E comunque, tutti coloro discettano sul salario orario minimo hanno contratti di lavoro ‘a vita’ e salari molto, molto al di sopra della sussistenza (comunque definita). E neanche immaginano che significa correre all’Ufficio postale in tempo e mettersi in fila per cambiare in moneta il voucher che hai ricevuto in cambio di qualche ora di lavoro. Ma promettono ‘barricate’.

Che storia!

Imparare a vedere

Sono in molti, mi sembra, ad affermare di non vedere una contraddizione tra l’inviare armi all’Ucraina  e l’obiettivo di fermare la guerra. E credono – sembra che credano – che il non vederla, questa contraddizione, equivale al fatto che non ci sia. Ma abbiamo tutti, nel tempo, crescendo, e poi invecchiando, imparato a capire che c’erano cose che non vedevamo perché non eravamo in grado di vederle. C’erano, eccome, ma non le vedevamo.

Quello che vedo, quando guardo

Il mio precedente post – Il mercato del lavoro degli altri – è stato ri-pubblicato, come parte di un post di Stefano Cardini,  sul portale del Phenomenology Lab (Università Vita-Salute San Raffaele) diretto da Roberta De Monticelli.

Il post è stato commentato dalla De Monticelli – commento al quale sia io che Stefano Cardini, abbiamo replicato.

Qui sotto trovate la mia replica – ma potete seguire la discussione direttamente sul portale del Phenomenology Lab.

(Nel mio post precedente ho usato il termine ‘mercato’ come sinonimo di ‘mercato competitivo’ – che l’uso corrente. Gli economisti – almeno quelli che hanno studiato Karl Polanyi – distinguono accuratamente tra ‘mercato’ e ‘mercato competitivo; ne parlerò in un prossimo post, perché mi accorgo che è una fonte di equivoci.)

 

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“Il mio mestiere non è riflettere sui dilemmi filosofici del pensiero liberale, bensì sui caratteri concreti – contingenti – dell’organizzazione economica, del capitalismo. L’economia come scienza sociale nasce con Adam Smith che fissa nel suo statuto disciplinare lo ‘sguardo etico’. Uno sguardo che è lo stesso che ha Alexis de Tocqueville mentre visita Manchester al culmine della Rivoluzione industriale – negli stessi mesi in cui lo fa Friedrich Engels, inconsapevoli l’uno dell’altro. E vacillano i suoi principi liberali difronte a quello che vede. Lo sguardo etico dell’economia che consolida e raffina non crea imbarazzi a John Stuart Mill, perché il suo liberalismo, per quanto elitario, già inclina al sociale, e crede nella capacità che ha la democrazia di regolare il capitalismo. Il seguito lo sappiano: abbandonare lo sguardo etico – come suggerisce Hayek – o smettere di guardare, perché la perfezione del capitalismo la puoi kantianamente dimostrare rimanendo seduto sulla poltrona filosofica, come suggerisce la ‘scolastica economica’? Questo è il dilemma dei liberali (filosofico? morale? politico?).

Quello che io vedo, guardando con i miei occhi, all’occorrenza attraverso gli obiettivi della mia macchina fotografica, e la materializzazione di ciò che racconta l’evidenza empirica che l’Istat – e molti altri centri di ricerca – mette quotidianamente sul tavolo (o sullo schermo) di chiunque sia interessato: una catastrofe sociale e morale. E quello che vedo mi fa dire che un capitalismo così – il capitalismo che la Sinistra italiana ha costruito con le sue mani dopo il 1989 – la democrazia italiana non lo regge.

E seguo Raymond Geuss (Not Thinking like a Liberal, The Belknap Press, 2022) nel pensare che l’intersezione tra democrazia, liberalismo e capitalismo che si presenta come una “anti-ideology par excellence” è in effetti una “total ideology”. Alla quale ha aderito, perdendosi, l’élite intellettuale e politica della Sinistra italiana.”