Una rivolta sociale?

Maurizio Landini, Segretario generale della CGIL, il più grande sindacato dei lavoratori, crede che in Italia sia giunto il momento di una ‘rivolta sociale’. Ai suoi occhi il capitalismo italiano genera dei disequilibri così profondi e delle sofferenze così diffuse che non possono essere più accettate. Il Governo deve fare qualcosa qui-ora, qualcosa di forte, che cambi radicalmente lo stato delle cose.

Maurizio Landini – e l’organizzazione che guida – sembra credere che lo stato di crisi economica della società italiana possa essere risolto aumentando o riducendo al margine l’ammontare stanziato per questa o quella voce di spesa del Bilancio pubblico O modificando al margine le aliquote fiscali. Sembrano crederlo anche tutti i gruppi parlamentari – e lo crede anche Elly Schlein e l’intera Sinistra. Ed è questo il tema al centro del concitato dibattito politico in questi mesi. Che si svolge come se la crisi fiscale italiana non durasse oramai da più di 30 anni, come se le stesse drammatizzate contrapposizioni sulla “manovra di bilancio” che ogni anno si ripetono avessero risolto qualcosa. Il debito pubblico è sempre lì, la stagnazione dell’economia italiana continua, la povertà è aumenta ed anche il disagio sociale e la precarietà esistenziale.

I profondi disequilibri dell’economia italiana discendono dal modello di capitalismo introdotto in Italia dopo il 1989 – e certo non dalle ‘manovre di bilancio”. È quel modello che dovrebbe essere messo in discussione. Sono i fondamenti istituzionali del capitalismo italiano il tema che dovrebbe essere al centro del discorso politico. Il bilancio pubblico è una manifestazione di quel modello.

La CGIL ha proposto un referendum abrogativo di una parte dei fondamenti giuridici del mercato del lavoro. Ha atteso otto anni per farlo – è del 2016 il Jobs Act che ora vuole abrogare, una riforma del Governo Renzi –; otto anni per convincersi a spostare il conflitto politico sul terreno delle istituzioni del capitalismo.  I referendum nella Costituzione italiana sono, però, una ‘rivolta democratica’. Perché parlare allora di ‘rivolta sociale’?

Comunque, non si cambia il capitalismo con i referendum abrogativi. Se li perdi li perdi. Se li vinci si avvia un processo di evoluzione politica, che si deve concludere in Parlamento, vincendo le elezioni e formando un governo. Ma il modello italiano  di capitalismo l’ha introdotto passo dopo passo la Sinistra, dal 1989 confusamente, dal 2007 come rivendicato progetto politico. La Destra l’ha ereditato, e gli sta bene.

Sembra una strada senza uscita quella che si sta percorrendo.

 

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