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Pnrr: modificato!

Il Governo Meloni ha riformulato il Pnrr, e la Commissione europea ha accettato la riformulazione. Grida di vittoria giustificate, certo, ma enfasi e linguaggio esagerati. Il “coraggio” di cui dice il Presidente del Consiglio non c’entra nulla. Rinegoziare il Pnrr ovviamente si poteva fare, altri Paesi l’hanno già fatto. E non permettere di rinegoziare in corso d’opera piani di lungo periodo – di sette anni come il Pnrr, poi – credo che a nessuno sia mai venuto in mente di giustificarlo, neanche nella più ottusa economia pianificata. E per il Pnrr – che peraltro è parte del Bilancio pluriennale dell’Unione europea – questo vincolo non c’era.

Il fatto è, però, che l’affermazione della non modificabilità del Pnrr è stata fatta da autorevoli esponenti della Sinistra – persino da Enrico Letta! – nella campagna elettorale che ha preceduto le elezioni del settembre 2022. In un post del 5 settembre 2022, l’avevo fatto notare: chi faceva questa affermazione o non conosceva le procedure elementari dei processi decisionali dell’Unione europea, oppure utilizzava in campagna elettorale, con cinica retorica, un’affermazione che sapeva falsa ma che la quasi totalità dell’opinione pubblica non era in grado di mettere in discussione.

Era talmente ridicola la situazione che si era creata nel dibattito pubblico in vista delle elezioni che nelle settimane successive il Commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, era stato costretto a dire pubblicamente, ma sommessamente, che sì, certo, il Pnrr si poteva modificare – d’altra parte, alcuni Paesi lo stavano già modificando. (Si può immaginare l’imbarazzo di un autorevole membro della Sinistra politica italiana – già Primo ministro – smentire i suoi compagni di partito.)

La Meloni può, ora, spavaldamente parlare di ‘‘coraggio”, per sottolineare di aver raggiunto l’obiettivo, ed è meglio così. Ma il coraggio non c’entra niente, perché modificare Pnrr è l’esito di una procedura normale, prevista. E per la Sinistra, ­ ora costretta al silenzio, è meglio che abbia chiamato in causa il “coraggio”: facendolo, ha allontanato il focus dal tema delle radici del naufragio della Sinistra italiana.

Che è il tema dei miei ultimi post (e anche del mio libro L’uso dell’economia. La Sinistra italiana e il capitalismo 1989-2022). Dov’erano i dis-organici intellettuali (e tecnici) della Sinistra italiana – non solo economisti, ma anche politologi e giuristi – quando c’era da contestare la falsa affermazione della immodificabilità del Pnrr? Avrebbero dovuto essere lì, a contestare quell’affermazione. Dovevano farlo per rimanere fedeli alla propria funzione di intellettuali pubblici, così importante in una democrazia. Dov’erano quando si trattava di de-costruire la falsa narrazione degli effetti del Pnrr? Nel loro libro – che ho discusso negli ultimi post – Tito Boeri e Roberto Perotti evitano di chiederselo (avrebbero dovuto parlare del milieu intellettuale di cui fanno parte, e certo non era facile). Ma la domanda resta lì, in tutta la sua forza.

Comunque, peggio non poteva finire: dopo il naufragio morale e cognitivo, per la Sinistra è arrivato il naufragio alle elezioni generali del settembre 2022.

Ma gli altri, gli altri dove sono?

Entusiasmo generale mentre il Governo Conte II e il Governo Draghi elaboravano il Pnrr. Avrebbe riportato l’economia italiana sul sentiero della crescita economica, smarrito molti anni prima. E sarebbe stato un sentiero di crescita sostenibile ed equa.  L’irripetibile – e insperata – opportunità che l’Unione europea offriva, l’Italia non avrebbe sprecata. Ma le cose stavano diversamente, ammoniscono, ora, Tito Boeri e Roberto Perotti: c’era solo l’esaltazione acritica dei suoi effetti all’origine di una valutazione tanto positiva del Pnrr. L’entusiasmo era infondato, ora come allora.

Che fosse un entusiasmo infondato non era difficile capirlo, già mentre il Pnrr prendeva forma, mentre era in corso di elaborazione. Ciò che era così facile da vedere, sin dall’inizio, non l’ha visto il Governo Conte II e non l’ha visto il Governo Draghi – e certo non per le ragioni che Boeri e Perotti suggeriscono, ­­­ come ho provato a dire nel mio precedente post. Ma non l’hanno visto, pèerò, neppure gli intellettuali che appartengono alla tecnostruttura giornalistico-accademica che in Italia guida il dibattito pubblico. Non solo non hanno visto ciò che era facile vedere, ma hanno visto quello che non c’era, e si sono distinti nell’esaltazione acritica del Pnrr, che ha raggiunto la sua acme durante il Governo Draghi, una tecnocrazia che ritenevano salvifica.

Le politiche pubbliche nascono da una mente collettiva, della quale gli intellettuali che sono nelle condizioni di esprimersi attraverso i dispositivi del giornalismo e della comunicazione sociale costituiscono una componente fondamentale in una democrazia. E dietro le carenze del Pnrr c’è un fallimento intellettuale prima che politico. Il processo decisionale è rimasto impigliato nell’uso improprio dell’economia che ne ha fatto la tecnostruttura giornalistico-accademica, nel suo scientismo diventato strumento di legittimazione della propaganda dei governi.

Ci sarebbe stato bisogno di una mobilitazione intellettuale, per mettere in discussione il paradigma mercatista, che era all’origine dell’impostazione del Pnrr – e di molte altre politiche pubbliche degli ultimi decenni. Per dimostrare il carattere pseudo-scientifico della razionalità sociale del Pnrr. Ma anche per falsificare le ipotesi con le quali si giustificava la razionalità sociale del “Super bonus edilizio 110%” – una politica pubblica ‘folle’ da ogni punto di vista (economico, etico e ambientale) e che gli stessi Boeri e Perotti, nel loro libro, definiscono, con scherno, “un unicum planetario” (p. 126). Solo mettendo in discussione il paradigma teorico con cui le principali culture politiche sono giunte a leggere il capitalismo italiano si poteva capire, ad esempio, che il modello statistico-economico con il quale si prevedevano i mirabolanti effetti sull’economia italiana del Pnrr era una ‘macchina immaginaria’, che il Pnrr era uno strumento per dare un altro giro di vite per consolidare il modello del capitalismo sovrano, o che avrebbe bloccato per anni la tipologia degli investimenti pubblici da realizzare. Far affiorare nel dibattito pubblico i veri obiettivi del Pnrr, liberandosi dallo scientismo che ne impediva una valutazione collettiva.

Il principale problema della democrazia italiana sta nei caratteri del dibattito pubblico. Nei caratteri della tecnostruttura giornalistico-accademica che lo organizza, gli dà forma, lo domina. Ma gli altri, gli intellettuali pubblici che a quella tecnostruttura non appartengono, che rifiutano lo scientismo, che credono nella democrazia, che sanno distinguere tra scienza e ideologia dov’erano? Dove sono?

È stata solo propaganda

Le politiche pubbliche sono ‘pensiero’, il prodotto di una ‘mente collettiva’. Certo, per farne la genesi si può iniziare soffermandosi su come ‘pensano i governi’. La costruzione di una politica pubblica avviene però (quasi) sempre sullo sfondo di un dibattito pubblico, e poi di un dibattito parlamentare (quando il parlamento la deve approvare). Per numerose politiche entra in gioco l’interazione con la Commissione europea. E così è stato per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), nato dal ‘pensiero’ di una complessa ‘mente collettiva’.

Raccontare la genesi del Pnrr è un tema importante e impegnativo, Significa fare il racconto di un disastro intellettuale e politico: del naufragio della Sinistra italiana, portata fuori strada dai suoi dis-organici intellettuali. Ed è un tema che Tito Boeri e Roberto Perotti svolgono, nel loro recente libro (Pnrr. La grande abbuffata, Feltrinelli, 2023). Del Pnrr danno, ora, un giudizio profondamente negativo. Però, tutte le ragioni per darne questo giudizio erano già palesi mentre il Governo Conte II e il Governo Draghi formulavano e poi approvavano il Piano. E scriverci un libro ora serve soltanto a suggerire una domanda: perché quete ragioni non sono emerse prima? Perché non sono emerse in tempo nel dibattito pubblico?

Affermare che un governo, impegnato a formulare una politica considerata decisiva per il futuro dell’Italia, degli effetti di quella politica ha fatto una “esaltazione acritica” indicava la strada da seguire. Ma gli Autori ne prendono una diversa “… sarebbe politicamente e umanamente irrealistico pensare che un governo impegnato nello scrivere e realizzare il Piano potesse propugnare una narrazione diversa …” (p. 20). Ora, le motivazioni politiche per ricorrere a una “esaltazione acritica” di una politica pubblica da parte di chi la propone si chiamano propaganda. (Le motivazioni umane non ho capito che rilievo possano avere in questo contesto: bisogno di ammirazione e auto-compiacimento infondato sono patologie gravi per un politico.) L’esaltazione acritica degli effetti del Pnrr non si è manifestata soltanto in approssimativi dibattiti televisivi o in enfatici interventi parlamentari. E’ emersa anche in innumerevoli interventi che provenivano dal milieu giornalistico-accademico liberale, che hanno segnato il dibattito pubblico. Si è manifestata anche nello stesso Documento di piano, con un capitolo finale nel quale gli inverosimili effetti positivi sull’economia italiana del Pnrr – con uno scientismo esasperato – emergevano dal ‘solito’ modello statistico-economico (che nessuno ha messo in discussione).

È stata solo propaganda, ma per spiegare le deficienze del Pnrr gli Autori del libro chiamano in causa l’inesperienza – che poi è una forma debole dell’incompetenza. Un Pnrr sbagliato sarebbe allora figlio di “un governo inesperto ed esposto a sollecitazioni di tutti i tipi”, incapace di “moderare l’appetito e di non farsi prendere dall’ingordigia.” (p. 31). Ed è del Governo Conte II che stanno parlando – commettendo due errori, di natura diversa. Ma nella sua versione definitiva, il Pnrr è stato approvato dal Governo Draghi, che ne porta quindi la responsabilità politica e tecnica. E chiamare in causa l’inesperienza (e incompetenza) dei due Governi nella formulazione del Pnrr non ha proprio senso farlo.

Nel Governo Conte II Roberto Gualtieri era alla guida del Ministero dell’Economia e delle Finanze, organizzazione di cui fanno parte apparati burocratici come il Dipartimento del Tesoro e la Ragioneria dello Stato (e molti altri Dipartimenti, Agenzie e Comitati di esperti, in questo e altri Ministeri) che è assurdo rappresentare come ‘inesperti e ‘incompetenti’. E certo neppure il Ministro stesso poteva essere considerato ‘inesperto’. Nel Governo Draghi, un’acclamata e salvifica tecnocrazia nella vulgata generale, a guidare il Ministero dell’Economia e delle Finanze era Daniele Franco – già Direttore Generale della Banca d’Italia, già a capo della Ragioneria dello Stato (e molto altro): il massimo dell’esperienza (e della competenza) che si possa immaginare per la costruzione del Pnrr.

No, la genesi del Pnrr dell’Italia è tutta un’altra storia.