I confini dell’Unione europea

Dopo la caduta del Muro di Berlino, lo sfaldamento della “cortina di ferro” e la dissoluzione della Jugoslavia, l’ampliamento ad Est dell’Unione europea è diventato un tema ineludibile e critico. Con quale criterio si dovevano tracciare i nuovi confini – quali Paesi far entrare nell’Unione?

Centro drammatico e dolente del destino occidentale, Praga si allontana lentamente nelle nebbie dell’Europa dell’Est cui non ha mai appartenuto”, scriveva Milan Kundera nel 1980. Certo, difficile argomentare contro l’adesione della Cecoslovacchia – diventata poi Cechia e Slovacchia. Lo stesso si poteva dire di altre città – e dei Paesi – che erano ad Est dei confini dell’Unione a metà degli anni Novanta.

Ma come tracciarli, dove tracciarli i nuovi confini? Quale criterio seguire?

Nel 1998 le Edizioni di Comunità pubblicheranno un libro di un noto geografo francese, Jaques Lévy, appena uscito in Francia: Europa. Una geografia. Leggendolo, capivi che la tesi secondo cui l’Europa è un oggetto geografico con confini ben definiti era senza significato, era falsa. Capivi che l’ampliamento ad Est era un problema molto complesso. Non c’era nessun criterio ‘geografico’ con cui decidere quali Paesi far entrare.

L’ampliamento ad Est poneva, poi, una questione di importanza geopolitica e culturale di enorme importanza sulla quale Jaques Levy poneva l’attenzione nel suo libro: la relazione tra l’Unione europea che si ampliava ad Est e la Russia.

Nel 1998 uscì, poi, per la MacMillan Press un libro importante sul tema dell’ampliamento dell’Unione: Redrawing the Map of Europe di Michael Emerson. Aveva un incipit profetico: “What is the map of Europe going to look like in the first decades of 21st century? What does it really mean to be talking about the future map of Europe? Are our political leaders leading the process adequately? Indeed, do our political leaders really direct the process or are there stronger underlying forces shaping the trend?”

E anche per Emerson il tema della relazione con la Russia – ma anche con l’Ucraina e la Turchia – era ineludibile, e richiedeva una soluzione.

Poi, come sono andate le cose dalla fine degli anni Novanta lo sappiamo, e le “underlying forces” che hanno guidato l’ampliamento dell’Unione europea sono oggi più che evidenti.  Come è evidente la tragedia nella quale siamo finiti.

Genera più nostalgia che consolazione rileggere quello che si scriveva attorno al “progetto europeo” negli anni Novanta, c’era più pensiero e riflessione. Ma c’era anche ingenuità nel non rendersi conto che la strada del “progetto europeo” era  segnata, o forse era la speranza che si poteva ancora fermare la deriva. Poi nel 1999 la Polonia entra nella Nato – solo nel 2004 entrerà nell’Unione Europea. Finiva il sogno di un’Europa centrale neutrale. Iniziava l’incubo di esercitazioni e basi militari della Nato ai confini delle Russia.

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