Guerra o pace?

Ricordavo di averlo letto, molti anni fa. Ma non ricordavo di averlo fatto con tanta attenzione, come dimostravano le sottolineature a matita che notavo nel riprendere in mano qualche giorno fa il libro: Intellettuali in Germania. Tra reazione e rivoluzione di Luciano Canfora, uscito per “De Donato Editore” nel 1979.

Lo si leggeva, allora, per comprendere meglio il percorso che la società tedesca aveva seguito nel Novecento, fino all’affermazione dell’ideologia nazista. Per riflettere sul ruolo che gli intellettuali avevano avuto in quella tragica vicenda, su come l’idea della guerra possa farsi strada lungo il sentiero aperto dalla parola degli intellettuali. Lo si leggeva per capire il ruolo che avevano svolto nell’incastonare il militarismo nella società tedesca, facendolo in misura incontrollata nel 1914, con i loro appelli pubblici, mentre niziava la Prima guerra mondiale e la Germania invadeva con ferocia militare il Belgio, un paese che in quel momento aveva lo status di paese neutrale.

Nel 1914 – come Canfora racconta nel libro – gli intellettuali tedeschi, con rare eccezioni, si mobilitano non solo per sostenere la guerra nei suoi obiettivi reali, ma anche nel suo ‘valore spirituale’. E per farlo c’è bisogno che la parola diventi incontrollata, le analogie smodate, il significato introvabile di un’affermazione segno di verità profonde.

E mentre leggi il libro non sai quale scegliere tra le citazioni che incontri, tra le sconsiderate formulazioni che gli intellettuali danno al loro pensiero per giustificare e nobilitare la guerra. Non sai quale scegliere, ma provo a sceglierne una che, credo, inchiodi gran parte degli intellettuali liberali – progressisti e conservatori – alla loro ambiguità dalla quale tutto il peggio possibile è nato nella storia europea:

La cosa più terribile sulla terra è la guerra. Ma anche la più potente e la più alta… La guerra rinnova la faccia del mondo, non solo perché apre nuove possibilità di sviluppo ai popoli e agli Stati, ma anche perché dispiega le loro capacità creatrici…”.

Ed è l’inciso “non solo perché apre nuove possibilità di sviluppo ai popoli e agli Stati” ad aprire la porta che conduce nella stanza segreta, nella quale confusamente e tragicamente si mischiano, nella formulazione di Canfora, “guerra e fede, militarismo e scienza”, e nel disordine intellettuale ed emotivo passano in secondo piano le ragioni economiche.

Il libro si apre con un richiamo a Gustav Schmoller – uno dei grandi economisti tra Ottocento e Novecento, fondatore della Scuola storica – e alla sua tesi esposta nel 1913 in un saggio dal titolo Krieg oder Frieden?: è finita la competizione pacifica e si apre “una nuova lotta per conquistare spazio per gli uomini, spazio per il capitale, spazio per lo smercio e i profitti”.

Che l’imperialismo (economico) fosse la principale motivazione della guerra trapelava nei discorsi e negli scritti degli intellettuali tedeschi – per quanto fossero in primo piano le motivazioni spirituali per la guerra, presentate come decisive. Ma non c’era solo ‘freddo calcolo’ – per celare il sostegno all’imperialismo economico – nelle sconsiderate e vuote parole degli intellettuali che sostenevano la guerra. C’era anche l’offuscamento mentale che faceva scorrere le lacrime all’ascolto dell’inno nazionale, generato da un’eccitazione emotiva diventata isteria collettiva, passo dopo passo, esternazione dopo esternazione, giorno dopo giorno.

Il libro di Canfora è una erudita riflessione sulla storia intellettuale tedesca del Novecento, e in controluce rivela molti aspetti della storia intellettuale italiana (ed europea) di allora. Ma l’ho riletto, dopo tanti anni (e non avrei mai creduto di avere bisogno di farlo), perché aiuta a capire ciò che sta accadendo in Italia e in Europa in questi mesi, in questi giorni. Leggerlo è come spalancare le finestre di questa stanza tornata affollata dove di nuovo si mischiano “guerra e fede, militarismo e scienza”. E l’imperialismo economico dell’Unione europea diventa nelle parole di molti intellettuali una lotta per la ‘libertà minacciata’.