Il miracolo dell’antifascismo è stato il coagularsi degli ideali che lo hanno guidato in un sorprendente progetto democratico. L’Assemblea costituente – eletta a suffragio universale nel giugno del 1946 (e saranno poco meno del 90% degli aventi diritto al voto a partecipare alle elezioni) – scriverà, e approverà il 22 dicembre del 1947, una costituzione esemplare, che incarnava nella sua espressione più alta le idealità democratiche nate in Europa con la Rivoluzioni liberali e maturate nel corso dell’Ottocento nel confronto con il socialismo riformista. Un miracolo, che un movimento nato per opporsi a una dittatura sia poi capace di realizzare un progetto istituzionale di così straordinario valore.
Un miracolo, che avviene poco prima che diventi impossibile che si realizzi, mentre tutto sta cambiando negli equilibri politici e geo-politici. La transizione dal Governo Parri al Governo De Gasperi, nei mesi convulsi tra il giugno e il dicembre del 1945 – che Carlo Levi racconterà in un libro straordinario: L’orologio (1950 ) – segna l’inizio di un percorso che si conclude con le elezioni del 1948. La Democrazia cristiana conquisterà la maggioranza assoluta relegando all’opposizione per decenni le organizzazioni politiche di ispirazione socialista, ponendo fine – sullo sfondo della Guerra Fredda – al radicalismo democratico che segna la Costituzione italiana. Ma a quel punto la Costituzione generata dalle idealità dell’antifascismo era comunque nata, il miracolo si era realizzato.
Il radicalismo democratico tornerà nella politica italiana all’inizio degli anni Sessanta sotto la spinta del cattolicesimo progressista e delle organizzazioni politiche della Sinistra – e dei maggiori sindacati dei lavoratori. (Nel 1963 il Partito Socialista entra per la prima volta dopo il 1948 a far parte del Governo.) Prende forza il processo di costruzione dello stato sociale (o del capitalismo sociale, che credo sia un termine più preciso). L’approvazione dello “Statuto dei lavoratori” (1970) e la nascita del “Servizio sanitario nazionale” (1980) sono stati due episodi chiave di un processo attraverso il quale, come in altri paesi europei negli stessi decenni, si consolida la sovranità della democrazia sul capitalismo. Ma il processo si arresterà presto, ed inizierà un cammino a ritroso.
Dopo la Caduta del Muro di Berlino – e la “fine della storia” interpretata come trionfo del capitalismo sovrano – il radicalismo democratico sarà ripudiato dalla Sinistra italiana, che tradisce così la sua storia e i suoi ideali. E se ne perderà ogni traccia, perché nessun’altra organizzazione politica accetterà di riceverlo in eredità. Il miracolo dell’antifascismo diventa inutile, dimenticato, dopo il 1989.
Scrive uno dei maggiori storici del Fascismo, Emilio Gentile, in Chi è fascista (Laterza, 2019) – un libro irrinunciabile per alimentare una cittadinanza consapevole (che ho ripreso in mano in questi giorni di isteriche contrapposizioni, che ogni anno riaffiorano con l’avvicinarsi del 25 aprile): “Non credo che abbia alcun senso, né storico, né politico sostenere che oggi c’è un ritorno del fascismo in Italia …”(p. 3). Che può significare, allora, dirsi ‘antifascisti’ qui e ora, se non significa – come per nessuna organizzazione politica più significa – riscoprire la radicalità democratica che segna la Costituzione italiana?