Categoria: Crisi ambientale

Lo stato atomico

Per chi appartiene alla mia generazione – e per chi fa il mestiere dell’intellettuale (pochi o tanti che siano, quando scrive o parla, a leggerlo o ad ascoltarlo, per interesse, necessità, abitudine – ci sarebbero molti libri da rileggere (o forse da leggere per la prima volta se li si è mancati). Sono libri – e sono tanti – che solo a ricordarli smentiscono ogni alibi sul perché la crisi ecologica “non l’abbiamo vista arrivare”. Ed è una fortuna che le nuove generazioni, nate molti decenni dopo che sono stati scritti, non li conoscano. Si è smesso da tempo di leggerli, di parlarne, di ristamparli – si trovano, quando si trovano, tra i libri ‘vintage’. Una fortuna per l’élite intellettuale della mia generazione, perché sarebbe guardata con ancora maggiore sfiducia (e rabbia) dalle nuove generazioni.

Mentre a Dubai va in scena la COP28, alla notizia dell’entusiasmo che trasudava per il ritorno alla ‘via nucleare’ per realizzare la transizione ecologica, non sono riuscito a bloccare il riflesso di prendere dallo scaffale un libro che ha segnato la storia politico-culturale degli anni Settanta. Lo stato atomico di Robert Jungk, che la casa editrice Einaudi pubblica nel 1978 nella collana “Saggi”, era apparso l’anno precedente in Germania. E sarebbe stato poi tradotto in molte lingue. Ebbe un impatto enorme nel rafforzamento del movimento anti-nucleare e della critica al modello economico che si stava consolidando, con il suo insostenibile bisogno di energia.

Nel 1972 erano stati pubblicati Il cerchio da chiudere di Barry Commoner e I limiti alla crescita del club di Roma, e nel 1976 Energia e miti economici di Nicholas Georgescu-Roegen e I limiti sociali della crescita di Fred Hirsch – tradotti in Italia pochi anni dopo. E sono solo alcuni dei libri di grande notorietà mondiale che andranno a formare la costellazione di riflessioni che negli anni Settanta stavano ridefinendo il paradigma della sostenibilità economica e sociale del processo economico. In questa costellazione, Lo stato atomico occupa uno spazio speciale: l’interconnessione tra usi militari e usi pacifici dell’energia nucleare, da una parte, e la forza del mito della crescita economica senza limiti, dall’altra, stava sviando l’attenzione dalle drammatiche conseguenze della “via nucleare”, che era una via da non percorrere. “… gli studi sulle conseguenze sociali e politiche dell’energia nucleare sono rimasti arretrati rispetto a quelli che si occupano degli effetti biologici ed ecologici.” (p. 4). E di questo il libo parlava, aprendo lo sguardo su uno scenario drammatico.

Dopo quello che accadde il 26 aprile 1986 – l’esplosione di un reattore nella centrale atomica di Chernobyl (Ucraina) – il libro di Jungk poteva essere interpretato come una nefasta profezia. La “via dura” – la via dell’energia nucleare per alimentare la traiettoria di crescita economica ‘illimitata’ – viene messa in discussione in molti paesi, e inizia un periodo di incertezza sul modello energetico verso il quale muoversi. La “via morbida” – quella dell’energia da fonti rinnovabili, dell’efficienza nell’uso dell’energia nei processi di produzione e consumo, del decentramento della produzione di energia – inizia a farsi strada, fino a diventare la via più condivisa.

Ora esplode senza remore l’entusiasmo per l’energia nucleare, cresciuto lentamente sottotraccia nell’ultimo decennio. Piuttosto che rompere il tabù della crescita illimitata come meta-obiettivo assoluto, tornato ovunque al centro dell’agenda politica ed economica come conseguenza della globalizzazione e della competizione economica tra stati, si decide di tornare alla “via dura” – all’energia nucleare – per realizzare la transizione ecologica senza cambiare i modelli di consumo. Ma per proporlo si doveva dimenticare – e far dimenticare – quello che negli anni Settanta e Ottanta si era capito, quello che Robert Jungk, assieme a molti altri, ci aveva fatto capire: è una strada senza uscita quella che si vuole tornare a percorrere.

Tempo 100

1.

Ascolto un breve video, frammento di una trasmissione televisiva, nel quale un autorevole esponente della Sinistra radicale italiana – che ha recentemente scoperto l’ambientalismo – solleva il problema dei ‘limiti’ da porre ai voli privati. Gli sembra un tema importante, sul quale vuole “avviare un dibattito”. Esprime le esternalità negative dell’uso dei voli privati in termini di emissioni di CO2, e fa le solite comparazioni: un volo (non si capisce quanto lungo) immette nell’atmosfera una quantità di CO2 pari a quella che immettono in un anno per ragioni di mobilità un certo numero di persone ‘normali’, che certo non hanno le possibilità economiche per acquistare o affittare un jet privato.

Non ho nulla da obiettare alla limitazione dei voli privati, ma il tema mi sembra astratto, irrilevante e fuorviante. Sono ben altre le disuguaglianze economiche che la Sinistra dovrebbe provare a ridurre, che in una campagna elettorale così importante come quella in corso dovrebbe annunciare di voler ridurre. Ad esempio, in un Paese con una disparità nella distribuzione della ricchezza reale e finanziaria tra le pù elevate tra i Paesi con un reddito pro-capite elevato, un ‘dibattito da avviare’ – che ti aspetti che la Sinistra avvii – dovrebbe avere come oggetto l’introduzione di una ‘patrimoniale’ (che non è un aumento della tassazione della ricchezza, ma una  redistribuzione della ricchezza). Ma in un Paese nelle condizioni dell’Italia sarebbero molti altri i temi sui quali la Sinistra dovrebbe ‘avviare un dibattito’ – e fare proposte precise.

2.

Ascoltare quel video mi ha comunque suscitato un ricordo. A metà degli anni Ottanta mi esercitavo nello studio del tedesco leggendo un libro che proponeva brevi testi che affrontavano temi del dibattito pubblico di quegli anni, e uno di essi aveva come titolo “Tempo 100”. Illustrava la proposta degli ambientalisti tedeschi di fissare in 100 km/h la velocità massima delle auto, su qualsiasi strada (autostrade comprese). Di questo parlavano gli ambientalisti, allora.

A metà degli anni Ottanta la drammaticità della crisi ecologica era un fatto chiaro. Si disponeva già dell’evidenza empirica necessaria per capire che la traiettoria di crescita economica nelle democrazie liberali era insostenibile. E il movimento ambientalista proponeva misure drastiche così come richiesto dalla gravità della situazione e della sua prevedibile evoluzione. Era il momento di fermare la ‘Grande accelerazione’. Introdurre il “Tempo 100” avrebbe significato modificare alla radice la traiettoria tecnologica dell’industria automobilistica e le pratiche d’uso dell’auto privata. Sarebbe stato l’inizio di una rivoluzione – e un cambiamento pofondo della struttura sociale ed economica era necessario per affrontare la crisi ecologica.

3.

Una rivoluzione ancora più profonda ed estesa sarebbe necessaria oggi. Ma trenta anni dopo, sull’orlo di una crisi ambientale irreversibile e apocalittica, in Europa ci si eccita per le auto elettriche – meno CO2, ma velocità e accelerazione ‘eccezionali’! –, dimenticandosi delle esternalità negative di questa ‘nuova’ tecnologica. Trenta anni dopo, la Sinistra italiana si crede ambientalista perché ‘apre un dibattito’ sui voli privati.

Come minimo, mi sarei aspettato di trovare nel programma della Sinistra la proposta del “Tempo 100”. In verità, mi sarei aspettato di trovare almeno l’eco dei temi posti dall’ecologia politica – già molti, molti anni fa.