Il Governo tecnocratico presieduto da Mario Draghi è l’espressione del progetto politico del Partito Democratico. Gli avvenimenti degli ultimi giorni – e l’interpretazione che la sua élite politica ne ha dato – lo hanno fatto apparire chiaro più di quanto già fosse. La Sinistra italiana ha iniziato la sua metamorfosi dopo la caduta del Muro di Berlino, diventando una tecnostruttura politico-giornalistico-accademica con un chiaro orientamento liberista. Tutta la sua azione politica dall’inizio degli anni Novanta ha avuto come obiettivo la de-costruzione del capitalismo sociale, con una coerenza esemplare. (La Destra, anche quando ha governato, non ha influenzato l’evoluzione dei fondamenti istituzionali del capitalismo italiano – non sapeva cosa fosse la regolazione di un sistema economico.)
Anche chi si identifica nell’agenda politica della Sinistra dovrebbe però ammettere che è condivisa da una minoranza. La clamorosa sconfitta elettorale della Sinistra alle elezioni comunali del 2016 (l’inaudita vittoria del Movimento 5 Stelle a Torino e Roma) e poi, nello stesso anno, la sconfitta al Referendum costituzionale lo avevano reso evidente. Infine, il tracollo alle elezioni generali del 2018 – il tracollo dell’intera Sinistra – ne è stata la dimostrazione definitiva. Un consenso elettorale appena sopra il 22%(Partito democratico e Liberi e uguali).
La si può pensare come si vuole, ma si dovrebbe riconoscere che le agende politiche della Sinistra, della Lega e del M5S sono profondamente diverse – e per prime lo dovrebbero riconoscere le élite politiche di questi tre partiti. E si dovrebbe poi riconoscere – e lo dovrebbe fare anche l’élite giornalistico-accademica – che fino a qualche settimana, prima della scissione, il M5S aveva una rappresentanza parlamentare molto, molto più alta di tutti gli altri Partiti.
L’alleanza tra M5S e Lega aveva una giustificazione dal punto di vista del M5S perché l’enorme differenza di peso elettorale e il fatto che la Lega avesse un’agenda politica nazionale sconclusionata lo mettevano nella condizione di imporre la propria agenda politica. E non stupisce che la Lega si sia ritirata dal Governo. L’Allenza tra M5S e PD aveva ugualmente una giustificazione dal punto di vista del M5S perché l’enorme differenza di peso elettorale lo metteva in una posizione di forza. Ma, in questo caso, la Sinistra aveva un’agenda politica coerente e articolata – l’agenda liberista –, ed era un’agenda egemone tra l’élite giornalistico-accademica. Un governo senza senso quello tra M5S e PD.
Quando nasce il governo ‘tecnico’ di Mario Draghi bisognava essere ciechi per non capire che era il compimento della strategia politica della Sinistra. L’intera tecnostruttura giornalistico-accademica della Sinistra italiana si è mobilita per neutralizzare la dimensione politica del PNRR, farlo apparire come un fatto tecnico – superando il limite della decenza intellettuale nel sostenerlo. Il PNRR è, in verità, un’arrogante forzatura liberista, ed è evidente se si guarda agli interventi sui fondamenti istituzionali del capitalismo italiano che introduce. Ma presentarlo come una piano ‘obbligato’ nei tempi e nei contenuti era l’unico modo per giustificare che fosse una tecnocrazia ad attuarlo.
La Lega e Forza Italia hanno sempre avuto agende politiche amorfe, e potevano pensare di trovare spazio nel Governo Draghi con interventi favorevoli agli interessi che rappresentano. Ma resta difficile capire come abbia potuto decidere di farne parte il M5S, che un’agenda politica sembrava averla – e precisa –, se non ipotizzando che si trovasse in uno stato confusionale (dovuto alla sua eterogeneità politica, intellettuale, culturale che si è manifestata con sempre maggiore forza dopo la strepitosa vittoria elettorale del 2018). Improvvisamente, si sono accorti che la loro agenda non era quella del governo tecnocratico che avevano sostenuto. Come può stupire, dunque, che sia finita come è finita?
Fratelli d’Italia aveva raccolto poco più del 4% dei voti alle elezioni del 2018, mentre oggi i sondaggi lo accreditano come il primo partito, stabilmente sopra il 20%. Non ha un’agenda politica nazionale – non l’ha mai avuta e non ha neanche avuto il tempo di definirla nella sua contraddittoria e travagliata storia recente. Ora ha dalla sua la linearità con la quale è stata costantemente all’opposizione negli ultimi quattro anni – e sarà il partito guida della coalizione che secondo i sondaggi vincerà le prossime elezioni. Quale sarà l’agenda politica di un eventuale governo di destra, molto diverso dai precedenti nel peso relativo dei partiti che ne faranno parte?
Verità vuole che in una democrazia si sarebbe dovuto andare al voto dopo l’esito del Referendum costituzionale del 2016 – semplicemente perché era stata bocciata dagli elettori una riforma ‘fondamentale’ che il Parlamento aveva approvato. Mi capitò di sostenerlo, sommessamente, per sentirmi rispondere da un autorevole liberale che quello era il modo per consegnare il Paese alla Destra (la Sinistra radicale la pensava allo stesso modo). Glielo stanno consegnando comunque, solo qualche anno dopo. Non aver rispettato le regole della democrazia oltre a essere stato eticamente discutibile non è servito a niente.
Quando, nel 1830, in Francia si compie la ‘rivoluzione liberale’ il diritto di voto viene concesso all’1% della popolazione, e le democrazie (liberali) europee impiegano più di un secolo per accettare il suffragio universale – al quale, certo, dopo i drammi della “Età degli estremi” culminati nella Seconda guerra mondiale era abbastanza difficile opporsi. Devi guardare negli occhi chi si dice liberale, per capire che liberale è, per capire se è un liberale che ha paura della democrazia. In Italia dopo la caduta del Muro di Berlino sono tornati intellettualmente egemoni i liberali reazionari (e liberisti), ai quali piacciono le forzature antidemocratiche, e vestono i panni della Sinistra. Erano al capolinea dopo le elezioni generali del 2018. Hanno guadagnato tempo sfruttando l’implosione del Movimento 5 Stelle. Ma ora sono a un passo dal naufragio.